storia dei celti


Le origini
L’origine del popolo dei Celti è indoeuropea. La parola celtico ha origine dal greco keltai che gli abitanti di Marsiglia, città fondata dai Focei, attribuirono ai membri di queste tribù belligeranti.

La loro prima area geografica di residenza è l’Europa centrale, in particolare tra la Boemia e la Baviera, dove ha avuto luogo la cosiddetta "Cultura diUnetice", particolarmente legata alla lavorazione dei minerali ed alla pastorizia. Da questa cultura hanno avuto origine anche gli italici, gli illiri ed i veneti.

Sicuramente la genesi dei Celti ha risentito di una interazione tra varie popolazioni. E’ dunque opportuno fare una premessa.

Intorno al 4000 a.C. esisteva una civiltà, denominata di Atlantide, che abitava nella zona del Baltico (che sarà nel medioevo luogo della Lega Anseatica), in particolare nello Jutland e nella bassa Scandinavia. Questa civiltà, racconta Erotodo, era particolarmente progredita. Abile nella costruzione dei templi e degli stadi, aveva una certa esperienza nella navigazione. 

Ciò è provato dalle costruzioni megalitiche dei menhir della Bretagna (Carnac), dell’Irlanda, del Galles e dell’Inghilterra (Stonehenge), dove nelle vicinanze è stato forse rinvenuto un probabile stadio per le corse equestri. Tali costruzioni di dolmen avevano come scopo la guida agli astri, in cui tali popolazioni credevano.

A seguito di siccità, terremoti e carestie, tale popolo è migrato verso l’Europa centrale, la Grecia (dove c’erano le culture achea e micenea, che furono distrutte), l’Anatolia (dove erano presenti gli Ittiti, la Palestina (in cui hanno avuto origine le civiltà fenicia e semita) e l’Egitto. Questa migrazione è nota come quella dei "popoli del mare". Solo in Egitto, Tolomeo riuscì a respingere la loro invasione. La coda della migrazione dei popoli del mare fu rappresentata dai Dori che si stanziarono in Grecia ed in Egeo.

Intanto, quasi contemporaneamente, secondo una teoria più accreditata tra il 3000 e il 2500 a.C. in Oriente c’erano tre popolazioni indoeuropee: i Kurgan (per le tombe a tumulo che usavano) della zona del Volga - alto Mar Caspio, i Transcaucasici del Caucaso, i Nordpontini della zona del Mar Nero. Queste popolazioni, in particolare la prima, influenzandosi e mescolandosi tra loro fino alla fine dell’età del rame, eseguirono delle migrazioni in: Anatolia (Ittiti), in Mesopotamia (Arii), Grecia (Macedoni e Micenei), Europa (Cultura di Unetice in Boemia, crocevia di popolazioni). 

La divisione cominciò con l’inizio dell’età del bronzo e si perfezionò con l’età del ferro (la Boemia era ricca di ferro) e si implementò con l’addomesticamento della razza equina (la parola cavallo ha la stessa radice in tutte le lingue indoeuropee) e del bestiame. Contemporaneamente nel nord europa, in particolare nella zona della Polonia, compare la civiltà dei Campi di Urne, di origine nordica, che prende il nome dal modo in cui seppellivano i loro morti.

La coda di questa migrazione orientale ebbe luogo con gli Sciti, nell’800 a.C., che si diffusero in Mesopotamia (originando prima la cultura caldea, di cui Abramo ne sarà un rappresentante, e poi quella assira che sarà dominante fino all’avvento dei Persiani), in Anatolia (ove erano presenti già i Frigi, i Lidi ed i Pontini), in Grecia, in Italia (dove dal 900 a.C. erano presenti gli Etruschi e ancora prima i Liguri e gli Italici ) ed in Europa centrale (dove era presente la migrazione dei popoli del nord).

In particolare, con riferimento a quest’ultima, intorno al 700 a.C., nella zona del Salzkammergut (Salisburgo e Carinzia), fino al 450 a.C. si diffuse la cultura di Hallstatt, abile nel commerciare sale (di cui la loro regione era ricca) con i popoli italici e nordici.

Si trattava dunque di una cultura di crocevia, basata prevalentemente su due classi sociali legate all’aristocrazia e alla pastorizia. La fine della cultura di Hallstatt segna l’inizio della cultura di La Tene (450 – 50 a.C.), situata sulle rive del lago di Neuchatel e caratterizzata dall’arte espressionista, dalle rappresentazioni del particolare e dei dettagli, dall’inizio di migrazioni di popoli, dalla valida rete di commercio di massa che furono in grado di impiantare, dalla conseguente nascita di una protoborghesia. Questo passaggio è stato motivato anche da una differente esigenza sociale: nuovi ceti aspirano al potere, per cui la vecchia aristocrazia hallstattiana viene soppiantata.

Dunque all’inizio del 600 a.C., come risultato di queste due ultime culture appena descritte, nella zona che comprende il basso Rodano e l’alto Danubio ha origine la popolazione celtica che, di cultura nomade, comincia a migrare verso l’Italia settentrionale, dove si stanzia attorno a Mediolanum ed entra in contatto con gli Etruschi, l’Europa centrale, facendo scomparire la cultura di Hallstatt, la Francia, da cui hanno origine i Galli, la Germania, dove si integrano con i Germani (Suebi, Marcomanni, Longobardi, Ermunduri, Quadi e Semnoni), popolo proveniente dall’area del Baltico, differente da quello dei Celti, la Gran Bretagna, dove ebbero uno sviluppo più arretrato, la Serbia, la Macedonia e l’Anatolia, dove compaiono i Galati (la parola celtico in greco si scrive gàlatos), che importarono culti religiosi orientali.

In particolare per la Gran Bretagna è opportuno precisare che intorno al 900 a.C. ed al 500 a.C. ci furono due ondate di migrazioni di popoli di origine indoeuropea che si sovrapposero alle popolazioni preesistenti derivate dagli "ex Atlantidi" giunte nel 3000 - 2000 a.C..

La prima fu legata a popoli di lingua gaelica, che partiti dalla Spagna settentrionale, approdarono in Irlanda, Scozia e Isola di Mann. Svilupparono una lingua denominata "celtico Q", poiché al posto della lettera k si utilizzava la lettera q. La seconda migrazione fu caratterizzata da popoli britannici, che partiti dal Belgio, in piena età lateniana, dunque nella massima fase dello sviluppo socio-economico, colonizzarono Inghilterra, Galles e Cornovaglia, sviluppando il "celtico P", poiché la k era sostituita da p. Ad esempio, la parola indoeuropea ekuos (cavallo), si scrive equos in gaelico ed epos in britannico. Dunque la mutazione consonantica q-p caratterizzò due tipologie di popolazioni, che si differenziavano anche per scelte architettoniche ed urbanistiche: le prime vivevano in fortificazioni, le seconde in villaggi.

E’ anche probabile che la migrazione dei secondi spinse i primi verso zone più lontane. Il termine gaelico deriva dalla parola gwyddel che significa "selvaggi" e fu attribuita, in una fase di migrazione, dai Gallesi agli avi degli Irlandesi che vi si insediarono.

I Celti hanno risentito molto della cultura scita, sia per l’uso delle tombe a tumulo, sia per l’allevamento del cavallo, ritenuto sacro, sia per il rito di tagliare e conservare la testa del nemico a protezione della propria capanna, sia per la suddivisione in classi sociali, ove l’aristocratico era chi possedeva più cavalli. Dunque i Celti hanno subito influenze orientali (Sciti, Kurgan, Greci, Etruschi) ed europee (culture di Hallstatt e di La Tene, popoli del nord), sviluppando a loro volta una propria cultura.

Società


Il tessuto sociale celtico si articolava su tre livelli: il druida, sommo sacerdote che presso i Galli aveva il nome di virgobrete (in realtà questo era più un magistrato), uomo di legge, di scienze esoteriche, indovino, conoscitore degli astri e della natura, medico, interprete dei sogni; il cavaliere, uomo di potere economico, politico e militare, la cui fonte di ricchezza era il bestiame (periodo hallstattiano) e l’industria ed il commercio (periodo lateniano); il popolo, composto da servitori. In realtà le decisioni più importanti spettavano al druida. Dunque chi aveva più cavalli (o in generale bestiame) oppure attività commerciali gestiva il potere economico ed era il re della tribù, cioè il capo dei cavalieri.

Questa suddivisione dimostra come l’evoluzione dei popoli celtici andò assieme all’evoluzione del cavallo, animale di grande importanza e di ausilio per loro. Tutto ciò ci mostra come in effetti i Celti derivarono dagli Sciti e dunque dalla cultura dei Kurgan, che avevano la stessa considerazione per il cavallo, mezzo di sopravvivenza sia in pace che in guerra. Tra l’altro, gli Sciti avevano sostanzialmente la stessa struttura sociale.

In particolare dopo il periodo lateniano, ogni comunità celtica si identificava in un gruppo economico: tutti vivevano per quella o quelle attività che gestiva un signore locale. Per questo motivo quando il cavaliere decideva di combattere, tutto il popolo si mobilitava, perché era in gioco la loro sopravvivenza; quando si decideva di migrare, tutti partivano.

Nel corso degli anni i diversi gruppi economici si sono unificati, per esigenze commerciali e gestionali, dando vita così a tribù più estese e complesse. I clan scozzesi sono un’espressione di questi antichi raggruppamenti sociali. Anche le costruzioni dei villaggi venivano realizzate attorno a quella del cavaliere.

La contrapposizione maggiore tra la cultura greco-romana e quella celtica consisteva nel fatto che mentre la prima si proponeva di conquistare la natura e di dominarla, conoscendo le sue leggi, la seconda preferiva conviverci, sentirsi parte integrante, conoscere il proprio destino per abbandonarsi ad esso. Nell’arte, dunque, non si ricerca la perfezione e la bellezza, ma l’emozione e la libertà.

Nella società celtica il maschio era espressione di vigore e forza e viveva assieme ad altri maschi, fino a che non era tempo di avere figli, per cui si avvicinava alle donne, con cui avrebbe vissuto assieme, continuando comunque a frequentare comunità maschili. Le donne, a loro volta, vivevano in gruppi, separati dagli uomini dove allevavano i figli. Esse esprimevano il coraggio e la tenacia. Gli uomini avevano grande rispetto per loro e ad esse erano molto legate. La prova di ciò ci è data dalle regine della Britannia che hanno combattuto i Romani, come vedremo dopo. Addirittura si dice che in battaglia esse trasmettevano il coraggio ai guerrieri. Tale affermazione rientra in un discorso esoterico che riprenderemo nel prossimo paragrafo. Tuttavia, alcune di esse, di rango basso, potevano essere barattate con dei cavalli.

Al largo della Bretagna esisteva un’isola abitata solo da donne che vi vivevano in comunità ed assunse un ruolo di sacralità.

Gli uomini celtici amavano le feste, dove si raccoglievano assieme e raccontavano saghe e favole, i riti comunitari, dove, alle volte, compivano dei duelli mortali, prediligevano bere (vino, birra, whisky) e mangiare in particolare il maiale arrosto (il cavallo ed il toro erano impiegati per riti sacri). Secondo la tradizione, un buon celtico, oltre che un valente guerriero, doveva essere eloquente.


Il guerriero celtico in battaglia si dipingeva il volto di vari colori, urlava sia perchè voleva spaventare il nemico, sia per esprimere il proprio vigore fisico, di cui era fiero. Amava radersi (i Britanni portavano anche i baffi) e viveva a contatto con la natura.

Dunque, la struttura sociale dei Celti era molto semplice ed in essa nel corso degli anni e dello sviluppo economico si potè inserire anche la borghesia (età lateniana). La società celtica non ebbe modo di articolarsi, viste le contaminazioni romano - germaniche. Solo in Irlanda, dove potè svilupparsi in pieno, andò articolandosi su più livelli: re, druidi (filid), nobili inferiori, contadini (perché possessori di terra), bardi (ceto borghese, a cui era affidato il tramandare la tradizione), lavoratori ed artisti di intrattenimento. Questi ultimi due rappresentano classi sociali non libere. Più tardi, con l’avvento del cristianesimo, il druida diventa anacoreta ed assume un ruolo di consigliere nella chiesa celtica, che avrà dei contrasti con quella romana, sfociati in alcuni casi in eresia.

Sviluppo

I Celti erano composti da diverse tribù, ognuna delle quali si diffuse in uno specifico territorio. Si difesero dai Romani, dai Germani e dalle invasioni asiatiche. Nel corso delle loro migrazioni popolarono un vasto territorio. Videro lo sviluppo di diverse società (kurgan, halstattiana, lateniana) che corrispose anche ad uno sviluppo economico e sociale.

In base alla premessa fatta in precedenza, possiamo visualizzare la seguente situazione, legata sia al popolo celtico che alla regione di influenza relativa, frutto di continue migrazioni:

Serbia: Scordisci (325 a.C.);

Bulgaria: Bastarni (fondatori del regno di Tylis);

Ungheria, Romania, Boemia: Carnuti, Teutoni, Cimbri(forse di origine germana), Menapi, Treviri, Ubii;

Svizzera: Rezi, Rauraci, Carnuti, Elvezi;

Austria: Taurisci, Norici;

Italia Settentrionale: Boi, Senoni,Veneti, Gesati, Insubri, Taurisci;

Spagna e Portogallo: Celtiberi che si mescolarono con la popolazione locale degli Iberi e che ebbero un sviluppo diverso rispetto ai Galli, i Gallaecie gli Asturi (Galizia), i Cantabri (zona di Bilbao), i Tarragonesi, i Baeti (zona di Siviglia), i Vasconi (Pirenei, da cui è originato il termine guascone), gli Arevaci, i Vaccei, i Lusitani ed i Vettoni (nel Portogallo);

Anatolia: Galati (276 a.C.) abitanti della Galazia, arrivati dalle regioni del Danubio;

Macedonia: Tettosagi, Trocmeri, Tolistoagi, che entrano in contatto anche con Alessandro Magno;

Francia: Sequani, Edui, Alverni, Ambroni, Arverni, Parisii (che diedero i natali a Parigi), Aquitani, Vocati, Volci, Bellovaci, Venelli, Eburovaci, Suessioni, Tricassi, Mandubii, Carnuti, Veneti, Namneti, Pitti, Biturgi, Allobrogi, Gesati, Ceutroni, Eburoni;

Paesi Bassi e Belgio: Nervii, Menapi, Suessoni, Remi, Belgi (forse di origine germana);

Germania: Ambroni, Teutoni, Boi, Nemeti, Vangioni, Treviri, Advatici, Usipeti, Tenteri, Eburoni, Ubii, Sicambri (si tratta in prevalenza di popolazioni germaniche, di influenza celtica);

Irlanda: Ulsteriani (con capitale Emain Magach), abitanti del Mide (centro-est), del Connacht (ovest) e del Munster (sud-est), Scotti (che migrarono in Caledonia che prese il nome di Scozia);

Scozia: Pitti e Caledoni;

Galles: Ordovici, Siluri e Cornovii (che poi migreranno in Cornovaglia)

Inghilterra: Atrebati, Belgi, Catuvellani, Trinovanti, Dumnoni (in Cornovaglia), Coritani, Briganti, Suessoni, Carataci, Novanti, Segovii, Trinovanti, Iceni;

Danimarca: Arudi, Cimbri, Ambroni (si tratta in prevalenza di popolazioni germaniche, di influenza celtica).

Dunque i Celti, durante una loro migrazione, giunsero fino in Turchia. Nel 278 a.C. Brenno, omonimo del condottiero che un secolo prima sconfisse i Romani, invase la Pannonia e da lì, attraverso l’Illiria, giunse in Grecia, distruggendo Delfi, dove venne ferito. Tra il 278 a.C. ed il 270 a.C., trovando resistenza in Grecia, in particolare in Macedonia, una parte della popolazione celtica attraversò lo stretto dei Dardanelli e si stanziò a ridosso della Bitinia, approfittando anche dell’invito del re locale Nicomede, che, in cambio di territori, li assoldò come mercenari per conquistare l’Anatolia ed avere uno stato cuscinetto con i Frigi. La loro espansione ed i loro saccheggi furono interrotti dall’imperatore di Siria Antioco I, che li sottomise e li confinò in Galazia, regione nei pressi di Ankara. Successivamente, nel 230 a.C., il re di Pergamo Attalo I, sconfigge i Galati che si erano ribellati e fa erigere, come segno di trionfo, dei gruppi marmorei. Di questi oggi ci rimane una copia romana del "Galata Morente".

L’altra parte della popolazione, che costituiva il flusso migratorio, caratterizzata in particolare dalla presenza dei Bastarni, sconfitta in Macedonia dal re Filippo, padre di Alessandro Magno, si stanziò in Bulgaria, fondando il regno di Tylis.

E’ opportuno fare una considerazione sull’Irlanda. Fu l’unico paese celtico che non subì invasioni, per cui sviluppò la propria cultura completamente senza subire influenze esterne. Era divisa in cinque regioni: a nord l’Ulster, con capitale Emain Magach, a sud il Munster, con capitale Caisel, ad ovest il Connaught, con capitale Cruachain, ae est il Leinster, con capitale Dinn Rig ed al centro-est il Mide, con capitale Tara, luogo sacro vicino a Dublino. La prima e l’ultima regione furono le più progredite, con la prevalenza finale dell’ultima. Nel 450 d.C. l’Irlanda era divisa in due regni. Il regno del nord abitato dagli Uì Neìll e quello del sud, popolato dagli Eòganachta.

Dediti alla pastorizia, gli abitanti dell’Isola Verde, non erano molto progrediti scientificamente. Amavano la musica, le arti esoteriche, la natura e svilupparono l’alfabeto ogamico fatto di segni, con il quale composero fiabe, divinizzando eroi nazionali, tra cui Cù Chulainn.

Il mito, presso i Celti era importante e questo gli Irlandesi lo applicarono abbastanza. Favole quali la conquista di Etain, Tàin Bò Cùailnge (la cattura del toro di Cooley), the Book of Leinster, the book of Dun Cow, the yellow book of Lecan (le tre massime fonti mitologiche gaeliche), novità sul maiale di Mac Da Thò sono saghe che raccontano di eroi popolari, di dei, come Maeve, divinità della guerra che visse tre volte, ricalcando le religioni scite e le strutture celesti degli inferi, riprese da tutte le altre religioni. Si ripete il tema della reincarnazione e della resurrezione.

Gli Scotti migrarono in Galles, dove i loro discendenti furono chiamati "selvaggi" (gaelici) dalle tribù locali ed in Caledonia, a cui diedero il nome di Scozia, tra questi, sull’isola sacra di Iona approdò San Colombano (563 d.C.) che evangelizzò la regione assieme a dodici discepoli.

Dunque la cultura celtica si interseca con il cristianesimo.

Sia l’Irlanda che la Gallia furono sede di molti conventi, che in realtà erano comuni. La seconda, poi, fu patria di San Martino, vescovo di Tours, nonché della setta eretica pelagiana, che contrapponeva alla grazia divina, professata da S. Agostino, solo la capacità umana.

L’Irlanda era la patria della chiesa celtica, che già esisteva prima dell’evangelizzazione della chiesa romana operata da San Patrizio e da Palladio. Questa fu importata dall’Aquitania che aveva frequenti commerci con l’isola verde, ricca di stagno.

Chiesa celtica
Nella chiesa celtica non c’era una struttura ed un’organizzazione, esistevano solo abati, la pastorale era semplice, i frati vivevano in luoghi appartati (isole, eremi…), lontano dai conventi, il simbolo più usato era la croce celtica, segno di rigenerazione, contenente al centro la ruota solare. (La prima Croce Celtica, risale al 10.000 a.C., è stata ritrovata in una grotta dei Pirenei francesi).


Imitando i druidi gli abati al posto della chierica usavano una rasatura da orecchio a orecchio, lasciando i capelli sulla nuca lunghi.

La chiesa celtica adattò il modello cristiano all’amore per la natura, per la fantasia, per i luoghi fiabeschi. E’ evidente che, nonostante le dominazioni e le influenze, la filosofia dei Celti rimase incontaminata. In Irlanda, come in Scozia, non si annoverano martiri, segno che il modello cristiano fu accolto pacificamente. Tuttavia ci sono molti santi, nominati anche con la segnalazione degli anacoreti, uomini, che si distinguevano per la semplicità, il vigore, la mitezza.

Ci furono notevoli dissidi tra chiesa celtica e chiesa romana: alle volte si rasentava la scomunica, come quando Fergal, vescovo di Salisburgo, credeva che sottoterra esistesse un mondo parallelo, in base al modello celtico.

Lo scontro decisivo tra le due chiese fu nel 663 d.C. nel concilio di Whiotby. In questa sede il dissidio principale, preso a pretesto dalla chiesa romana, consisteva nella festa della Pasqua, che gli abati celtici festeggiavano tre giorni dopo le Palme, secondo la tradizione di Giovanni Evangelista. La chiesa di Pietro e Paolo uscì vincitrice.

Tuttavia gli abati celtici continuano la loro evangelizzazione in Europa: Sangallo (Svizzera), Bobbio (Pavia), Francia, Salisburgo, Scozia, Inghilterra, Germania.

Nel 410 d.C. i Sassoni, gli Angli e gli Juti, popoli germanici, occupano l’Inghilterra. I Britanni si ritirano in Cornovaglia, Galles (dove c’è il vallo di Olla), Bretagna e Scozia. Nel 440 Ambrogio Aureliano prende il potere e sconfigge i germani.

Nel 491 compare il mito di Artù che, attraverso dodici battaglie, scaccia gli invasori. Dopo il 500 l’Inghilterra è di nuovo in mano ai germanici, che abbracciano la chiesa romana. L’Irlanda vivrà le invasioni vichinghe (793 d.C.) e comincia un periodo di migrazioni degli irlandesi verso l’Europa. Successivamente sarà la volta delle invasioni normanne, che importeranno l’amore per l’agricoltura e la pastorizia.

Nel 1066 il duca Guglielmo di Normandia riprende l’Inghilterra e restaura la chiesa celtica, rinasce il mito del Graal e di Artù, che viene abbracciato anche dalla Francia, per puri scopi politici, in opposizione al domino della chiesa romana. Nel 1180 Chretien de Troyes scrive il Perceval, nel 1210 Wolfram von Eschenbach compone il Parsival.

Il re Artù non sappiamo se sia esistito veramente. Sappiamo che richiama il dio celtico Artaios. Questo re si avvaleva del druida Merlino, il cui padre, secondo la tradizione, era Ambrogio Aureliano, a sua volta fratello di Uther. Da quest’ultimo nasce Artù che estrae la spada dalla roccia (caliburnus) e diventa signore di Camelot. Sposa Ginevra e fonda una tavola rotonda di 150 cavalieri. Con essi battè i Sassoni, i Pitti e gli Scotti. Suoi compagni sono: 

Tristano, che innamorato di Isotta, andò in Francia dove morì; 

Lancillotto, che circuì Ginevra; 

Galvano, che si avventura sulle Orcadi, combattendo contro il cavaliere verde; 

Galahad, figlio di Lancillotto, e Percivale che vanno alla ricerca del Graal. 

Artù, alla fine, accompagnato da alcune donne, si ritira su un’isola, da cui farà ritorno successivamente.

Dunque, ci sono tutti gli elementi delle saghe celtiche: il re e il druida, che lo consiglia e guida; le riunioni assieme, rievocate dalla tavola rotonda; le sofferenze per l’amore, vissute da Tristano e Lancillotto; la lotta contro il nemico di Galvano, come Cù Chulainn, contro il drago; la rigenerazione, come quella di Artù, che fa ritorno da un’isola misteriosa, cioè muore e si rigenera.

Siamo di fronte ad un eroe mitizzato, come è nella cultura celtica. Il Graal, poi, rappresenta le nature di Cristo: umana nel sangue e divina nell’acqua. Entrambe sono unite assieme dallo spirito. Questi sono i tre elementi raccontati da Giovanni, che era il più seguito dalla chiesa celtica. Chi possedeva il Graal, possedeva questi tre elementi. Di nuovo la fantasia serve ai Celti per superare le avversità della vita, che in questo caso erano rappresentate dai Germani.

Tuttavia, come già detto, questa figura mitica fu strumentalizzata dai popoli invasori che volevano contrapporsi alla chiesa di Roma.

Attività
Le fonti storiche che raccontano dei Celti sono svariate: Erodoto, Cesare, Livio, Polibio (il più accurato), Posidonio, Diodoro Siculo, Dionigi di Alicarnasso, Strabone, Dione Cassio, Tacito.
I Celti erano una popolazione prettamente nomade. Furono i primi ad introdurre l’uso dei mantelli colorati e dei pantaloni (brache) entrambi ereditati dagli Sciti. Molto bravi dunque nell’arte della tessitura e della tintura.
Abilissimi, poi, nella lavorazione dei minerali, in particolare del ferro, introdussero l’ottone e per molto tempo lavorarono la smithsonite, un particolare minerale, sostitutivo dello zinco. Conoscevano molto bene le varie tecniche di fusione. Erano anche capaci nella cottura del vetro (bianco e colorato), nell’uso dello smalto e nella lavorazione dell’ambra. Tali pratiche furono perfezionate nel corso del passaggio dalla cultura hallstattiana a quella lateniana.
Era dedito all’allevamento del bestiame (la parola pecus la ritroviamo anche tra i Galati), in particolare mucche e pecore; da queste ultime si traeva la lana. Popolo guerriero, utilizzavano splenditi elmi piumati ed alcune volte corazze (anche se combattevano quasi sempre nudi), tipo quelle medioevali. La spada celtica era corta e veniva impiegata come arma da taglio. Più tardi ne furono forgiate di più lunghe, tutte intarsiate e adornate di pietre, ma si parla di dopo il 500 d.C..
Amavano radersi il volto e pettinare i biondi capelli all’insù, indurendoli con del gesso. In battaglia si coloravano il viso e, dopo aver danzato, si lanciavano nudi addosso al nemico urlando: prediligevano il corpo a corpo ed il primo assalto. Per questo con le spade colpivano, menando dei fendenti, che non si rivelavano mai colpi mortali. Polibio racconta che le loro piccole spade si piegavano dopo i primi colpi. Fu questo uno dei motivi che li fece perdere contro i Romani, che invece usavano la spada e le lance, colpendo con dei colpi mortali, evitando il corpo a corpo.
Solo successivamente gli Etruschi ridestarono l’uso del carro da guerra che avevano prima appreso sia dagli Sciti che dai popoli del nord (ex Atlantidi) e poi dimenticato. Gli scudi, poi, ben rifiniti ed incisi, erano piccoli rispetto al corpo, sempre perché i Celti confidavano nell’impeto dell’assalto. I Romani avevano scudi lunghi; fu anche questo un motivo della disfatta celtica. Tra l’altro i loro eserciti non erano ben organizzati e le loro tattiche di guerra si basavano prevalentemente sul furore bellico.
Dunque i Celti, per via del loro furore e della scarsa tattica, erano destinati a perdere le battaglie contro un esercito organizzato. Questa particolarità costituì un serio pericolo per Annibale, nella sua calata in Italia, poiché, in battaglia, la parte celtica del proprio fronte di attacco era la prima a cedere. Il generale punico seppe utilizzare questo potenziale difetto a proprio vantaggio, inserendo i Celti al centro del proprio schieramento, dando origine alla sua famosa tattica a tenaglia, nella quale il centro cedeva e risucchiava il nemico che veniva finito dalle ali, ove era presente la cavalleria.
L’unico re celtico che capì che, in battaglia, bisognava usare una strategia oltre al furore fu il gallo Vercingetorige, che, impiegando la tattica della "terra bruciata", minava a colpire gli approvvigionamenti dei Romani, ottenendo qualche successo. In particolare, aveva capito che se avesse accettato lo scontro diretto con i Romani avrebbe perso.
Dal punto di vista dell’edilizia, i Celti abitavano prevalentemente in capanne di legno, circolari o rettangolari, ed in villaggi.
Cesare chiama Vici i villaggi non fortificati e oppidum le costruzioni - roccaforti, di cui le terre celtiche sono piene. I Celti, invece, indicavano con il termine dunum la fortezza e con nemeton un luogo sacro. Soprattutto in Gallia, le loro città avevano mura di cinta spesse.
Con l’influenza degli Etruschi e dei Greci, che avevano fondato Marsiglia ed influenzavano il commercio di quelle regioni, costruirono case di pietra con piccoli vani. Amavano vivere all’aperto, sotto le querce, ritenute sacre, secondo la cultura del drynemeton (luogo delle querce), ove si tenevano riti sacri e processi.
Un esempio è la città di Manching, nelle paludi del Danubio, crocevia tra Ungheria e Baviera, distrutta nel 15 d.C. in modo misterioso e violento. Città grandissima (7 km mura di cinta), conteneva tante fabbriche, vicine tra loro, basate sul prototipo della catena di montaggio, introdotto dai Greci. Si trattava di una città tipica dell’espressione lateniana, dove c’erano schiavi e signori, dove il commercio aveva il suo valore (specie quello di massa), dove il denaro aveva la sua importanza.
Come sepolture dapprima utilizzarono le tombe a tumulo, tipiche della cultura indoeuropea ereditata dai Kurgan (si ritrova tra gli italici, i sanniti, gli illiri….), poi predilessero l’inumazione.
Commerciavano e lavoravano il sale, in celtico hal: molte città della zona del sale hanno come suffisso iniziale questo termine. Prediligevano l’uso delle botti a quello delle anfore. Inoltre lavoravano l’ambra, con la quali arricchivano le loro collane.
Amanti del vino, producevano anche la birra. Inventarono il servizio turistico della pensione completa, che si teneva nelle stazioni di cambio.
In generale, erano dediti alla manifattura (questo fu trasmesso loro dagli Etruschi) ed al commercio, anche per questo si frazionarono molto (di cui Roma approfittò): si può dire che ciascuna unità economica era una tribù (questo fu un difetto della cultura lateniana). Quindi davano una grande importanza al denaro.
I Celti che vivevano in zone marittime svilupparono un’abile capacità di navigazione. Possedevano navi più robuste di quelle romane: erano fatte di quercia, con vele di pelle. Le caravelle della Lega Anseatica del 1300 erano fatte su questa stessa base, mentre le navi vichinghe erano più sul modello leggero. I Bretoni ed i Britanni in particolare esercitarono un’attività piratesca.
Il popolo celtico amava molto la musica (in particolare l’arpa) che veniva impiegata per celebrare riti sacri e di preparazione bellica, per raccontare le gesta di eroi e per impiegare la propria fantasia, luogo di rifugio dalle storture della vita. Infatti era molto diffusa la divinizzazione di eroi espressa attraverso le saghe.
Per i Celti la fama era tutto, soprattutto nella misura in cui gli altri li ricordavano.
A tale proposito espressero una tradizione soprattutto orale. Un esempio relativo a questo argomento è dato dai Celti d’Irlanda, che, per mezzo del loro isolamento storico, rappresentano una razza celtica incontaminata. Essi usavano molto le saghe ed i miti.
Erano anche conoscitori della magia e delle scienze esoteriche.

Religione
Secondo la tradizione Eracle, divinità - eroe ellenico, giunto in Gallia, fondò Alesia e si invaghì di una principessa locale. Questa colpita dal suo vigore e dalla sua possenza fisica, si unì all’eroe orientale. Frutto dell’unione fu il giovane Galates, che salito al trono, diede il suo nome al popolo: galati o galli. Questa tesi propagandistica dimostra il legame tra Occidente ed Oriente
La religione celtica ha molte affinità con le religioni delle culture indoeuropee, in particolare con quella scita. Essa si basa su concetti molto semplici: la reincarnazione della vita, la rigenerazione, la resurrezione, l’amore per la natura, la sacralità di alcune piante (la quercia in Gallia e Galizia, il tasso in Britannia, il torbo in Irlanda). Gli alberi erano il tramite con il firmamento e separavano l’uomo dagli dei celesti. Attorno ad ogni villaggio c’erano dei boschi sacri (drynemeton) dove si eseguivano riti e dove veniva giudicata la gente dai druidi.
Si usavano spesso anche i dolmen ed i menir megalitici, già realizzati dalle precedenti civiltà, per rappresentare una continuità tra l’uomo ed il firmamento.
La morte rappresentava per i Celti una breve pausa per una vita eterna: esisteva infatti la reincarnazione (in cui si crede anche in India), per questo si amava la natura, perché si poteva rinascere in altre forme di vita. Il concetto di rigenerazione era fondamentale ed a simboleggiarlo c’era la croce celtica. Il tema della resurrezione è importante, perché indica una continuità della vita ai danni della limitatezza della morte.
Dunque il celtico non si preoccupava se in battaglia moriva, anzi questo gli dava più onore, tanto poi risorgeva. Andavano nudi in battaglia perché, in preda al loro furore bellico, comunicavano con gli dei direttamente e quindi emettevano calore. Non è escluso che i druidi conoscessero delle tecniche yoga, atte a creare uno stato di trance nei guerrieri nella fase pre-bellica. Essi infatti eseguivano dei passi di danza prima di combattere, proprio per entrare in contatto con le divinità.
I Celti, specialmente quelli d’Irlanda, credevano che alcune divinità vivessero sottoterra. Con loro si entrava in contatto attraverso pozzi e stagni. Attorno ad ogni villaggio c’erano zone ritenute sacre anche per questo. In Vandea sono stati trovati pozzi contenenti alberi e resti umani e animali: agli dei si sacrificava tutto, sia il simbolo della fertilità che la vita stessa. Esistevano cerimonie celtiche, presiedute da druidi, in cui, con un sottofondo musicale, si portavano in processione alberi che, alla fine, venivano sepolti in pozzi.
I Celti non credevano nel peccato, quindi la loro morale era molto semplice.
Collezionavano le teste dei nemici (in Irlanda il cervello) sopra le porte delle loro capanne o su pali conficcati nel terreno, sia perché questo accresceva la loro fama, sia perché quando il nemico fosse rinato lo avrebbe fatto senza testa, quindi più debole.
I Galati trasmisero ai loro cugini europei il mito scita del piccolo dio Attis e della sua madre Cibele, dispensatrice di coraggio e gran madre di tutti, che poi, se vogliamo, è lo stesso mito fenicio del dio Baal e della dea Baalat.
Dunque la donna rappresentava il coraggio, che specialmente in battaglia era molto utile, e la fertilità che si ricollega alla rigenerazione della vita: esisteva una forte venerazione per la madre. Non è escluso che esistessero druidesse, come le abitanti dell’isola bretone o la sacerdotessa di Vix della Baviera.
Il ruolo del druida è molto simile a quello del bramino indiano la società celtica e quella indiana sono simili: il re - cavaliere assomiglia al rajas indiano). A tale proposito si sottolinea che alcune parole del gaelico sono molto simili al loro omologo indiano.
I druidi erano il centro della religione celtica. Ebbero anche una valenza politica. In Gallia, in particolare, sotto la dominazione romana, difesero i costumi celtici e portarono avanti un sentimento rivoluzionario antiromano che sfociò secoli dopo durante la fine dell’Impero Romano. Essi non pagavano tasse, non espletavano il servizio militare, non erano legati al loro territorio come il resto della popolazione. Erano, in pratica, i veri capi della tribù. Avevano un falcetto in mano che li rappresentava, anche perché erano conoscitori di erbe mediche, che venivano raccolte con una certa ritualità. Alcune, perché velenose, erano raccolte con la mano sinistra (era quella che valeva di meno), altre con la destra. Essi seppellivano i morti in tumuli, secondo la tradizione dei kurgan.
I druidi si riunivano in assemblee e c’era il majestix (il grande re) che affidava i vari compiti a loro. Si diventava druida solo dopo aver superato una prova che consisteva nel ritirarsi nel bosco sacro e giungere all’aldilà (attraverso prove di allucinazioni ed ipnosi): solo chi vi era stato ed aveva fatto ritorno tra i mortali poteva guidare un popolo.
I Celti avevano 374 divinità. In realtà molte erano copie di altre, per cui se ne contano circa 60. Tra questi si ricorda: Teutate, dio barbuto, presente nei riti sacrificali, Beleno omonimo di Apollo, Arduinna da cui presero il nome le Ardenne, Belisama omonima di Minerva, Nemetona dea della guerra. Il più importante di tutti era Lug, che diede il nome a Lione e Leida. Simboleggiava un grande druida e sapeva suonare l’arpa, lavorare il ferro, combattere da valoroso, fare magie. Questi fu il progenitore del germano Wotan, che era chiamato anche Odino ed era il signore del Walhalla.
Wotan era il grande druida ed era il signore del calore magico che infiamma il guerriero. Dunque tra Germani e Celti c’è questa trinità divina in comune: Wotan-Odino, Donar-Thor, Ziu-Tyr, presso i primi; Teutate, Eso e Tarani presso i secondi. Teutate era il più potente e si placava con sacrifici di sangue. Eso era identificato con il toro, anche egli assetato di sangue. Tarani era il dio della guerra e preferiva il rogo. Successivamente, Lug prese il potere su tutti. La volta celeste era la proiezione della vita terrena, per questo si ipotizzavano lotte e nascite di dei. Alla fine uno prevalse e fu il successo dei druidi. Il concetto di trinità è molto ricorrente nelle religioni dei popoli di origine orientale.

Roma
Nel 322 a.C. i Senoni ed i Boi avevano colonizzato la Gallia Cisalpina ed erano scesi sino alle Marche, annientando gli Etruschi, che avevano fondato la Lega delle Dodici Città, e le popolazioni italiche.
Il primo contatto di Roma con i Celti fu nel 387 a.C., quando Brenno, capo dei Senoni, presso il fiume Allia ottenne una grande vittoria e marciò su Roma, saccheggiandola ed incendiandola.
I Romani si rifugiarono sulla rocca del Campidoglio dove furono presi d’assedio, senza capitolare. Qui si assistette all’episodio di Brenno che, per andare via, pretese dell’oro (probabilmente quello del sacco di Veio), pronunciando la famosa frase: "guai ai vinti". In realtà sembra più probabile che tra i Senoni ed i Romani fu siglato un accordo di pace e che la propaganda romana abbia enfatizzato questo episodio al fine di esaltare la gloria capitolina. Successivamente la città fu ricostruita sotto la guida di Furio Camillo, che riuscì a convincere la popolazione a non trasferirsi a Veio, città etrusca appena conquistata, ancora intatta. Dopo questo avvenimento i Romani svilupparono un certo terrore verso i Celti.
L’episodio appena descritto nacque a seguito di un’invasione celtica presso l’Etruria (avevano già conquistato il nord Italia che precedentemente era stato sotto l’influenza etrusca), avvenuta esattamente a Chiusi, centro di produzione vinicola di cui i Celti erano particolarmente ghiotti.
L’aneddoto legato a questo episodio narra di un certo Aruns di Chiusi, la cui moglie era stata tradita da un lucumone locale, che chiamò i Celti in suo aiuto. Quando videro l’orda gallica alle porte i chiusini chiamarono i Romani, che bramosi di conquista nei confronti etruschi, ma diffidenti verso gli invasori, si limitarono ad inviare tre ambasciatori a trattare la pace. Tuttavia questi offesero i Celti e combatterono al fianco degli Etruschi contro di loro, perdendo. In seguito a questo episodio, Brenno, dopo aver distrutto la tirrenica Melpun, marciò verso Roma come rappresaglia. Naturalmente c’è una ragione più pratica dietro questa guerra: i Celti avevano bisogno di terre e di ricchezze ed effettuavano continuamente delle migrazioni.
I Celti ricompaiano contro i Romani nella battaglia di Sentinum del 295 a.C., nel corso della terza guerra sannitica, accanto ai Sanniti, Umbri, Etruschi , Lucani e Sabini dove subiscono una sconfitta.
I Romani erano risoluti nell’allontanare il pericolo celtico dall’Italia e nel 285 a.C. perpetuarono un genocidio (uno dei primi nella storia) nei confronti dei Senoni, erigendo sul luogo Sina Gallica (Senigallia) e più a nord Rimini. Inizia, così, la conquista dell’ager gallicus, cioè le alte Marche. Di conseguenza i Galli della regione minacciata (Boi, Senoni, Taurisci, Insubri) si alleano con gli Etruschi e marciano su Roma. Nel 283 a.C., presso il lago Vadimone, i Romani li massacrano, tingendo di rosso le acque del Tevere. Si racconta in proposito che i cittadini dell’Urbe appresero dalla notizia vittoriosa vedendo il colore delle acque, ancora prima che facessero ritorno i soldati.
Successivamente i mercenari celtici si alleano ad Asdrubale in Spagna. Questi però firma il trattato dell’Ebro (226 a.C.), con il quale Cartaginesi e Romani si spartiscono la Spagna e riconoscono i Celti come comuni nemici. Questo trattato fu la fine per i punici che non capirono che solo alleandosi con le tribù locali potevano battere Roma.
Nel 225 a.C. i Celti (50.000 fanti e 25.000 cavalieri, come racconta Polibio), aiutati dagli Etruschi, sono sconfitti a Talamone dai Romani. Nella circostanza vengono sottomessi anche i Liguri, popolazione italica, abile nella pesca e nella navigazione marittima, che aveva frequenti commerci con i Celti ed i greci di Marsiglia. Dopo questo episodio, Roma si rende conto che le tribù celtiche si possono sconfiggere con un esercito addestrato e organizzato.
Nel 222 a.C., dopo la vittoria di Clastidium, la Valle Padana viene conquistata agli Insubri (Milano, loro capitale, distrutta) e alcune roccaforti celtiche, già città etrusche, vengono prese: Piacenza, città dei Boi; Cremona, città degli Insubri; Aquileia. Tra il 189 a.C. ed il 183 a.C. sarà la volta delle città dei Boi di Parma, Modena e Bologna.
I Celti appoggiano Annibale che cala in Italia, uscendone di nuovo sconfitti. In particolare il loro impeto bellico si rivelava dannoso per le battaglie del generale cartaginese, come successe nella battaglia sul fiume Trebbia. In Gallia Cisalpina continua la guerriglia celtica fino al 175 a.C., data in cui l’Italia settentrionale è romana.
Tra il 123 a.C. ed il 121 a.C. i consoli Caio Sestio Calvino, Domizio Adenobardo e Quinto Fabio Massimo conquistano la Gallia Narbonese.
Nel 113 a.C. i Celti si ripresentano ai Romani al di là delle Alpi (parola di origine celtica) a Noreia, l’odierna Klagenfurt, dove Norici e Taurisci, in una fase di migrazione verso il nordeuropa sconfiggono le truppe di Papinio Cambone.
Nel 109 a.C., presso Arausio (odierna Orange), sempre in una fase di migrazione, i Cimbri e i Cimmerri, popolo celtoscita, apportano una nuova sconfitta ai soldati romani. Dunque, i Celti diventano di nuovo uno spettro per la città capitolina. Si può osservare che in questo periodo si assiste a diverse fasi di migrazioni celtiche, con influenze sia germaniche che orientali, nessuna però valica le Alpi. Nel 107 a.C. gli Elvezi ed alcune tribù germaniche sconfiggono presso Agen truppe romane al comando di Longino.
Per allontanare definitivamente la paura celtica i Romani devono attendere l’avvento di Mario, terzo eroe di Roma dopo Furio Camillo e Romolo. Questi identifica subito il punto debole dei Celti nel furore del primo assalto ed addestra con una rigida disciplina le truppe romane, facendole diventare una perfetta macchina da guerra. Così nel 102 e 101 a.C. prima ad Aquae Sextiae (odierna Aix en Provence) e poi a Vercelli furono massacrati migliaia di Cimbri e Teutoni. In entrambe le circostanze, durante le battaglie, Mario fece attendere le sue truppe in zone fortificate, in modo che i soldati si abituassero alle urla ed all’aspetto terrorizzante dei Celti. Una volta diminuito il furore bellico, i soldati romani assalirono i nemici, ormai esausti e indeboliti. Il pericolo celtico era cessato e Roma poteva dedicarsi ad una espansione in Europa.
La politica di conquista estera dei Romani si basava sul concetto di eliminare eventuali pericoli che li potessero minacciare. Per questo motivo presero la Gallia Cisalpina che era abitata da popolazioni celtiche che potavano minacciarli, poi la penisola iberica, che aveva delle fortificazioni cartaginesi e, successivamente, la Gallia Narbonese come territorio di collegamento tra i due conquistati.

Gallia e Germania
Cesare racconta della Gallia nel suo "De Bello Gallico" ed in modo grossolano la presenta come una terra divisa tra tre popoli: gli Aquitani a sud-ovest, i Belgi a nord-est ed i Galli nel resto. A queste tre parti viene aggiunta quella dei Germani per puri scopi propagandistici, al fine di isolare le varie tribù tra loro, richiamando l’antica rivalità che c’era tra i Celti ed i Germani.
Secondo Plutarco, Cesare, in dieci anni di campagne militari, distrusse 800 città e villaggi, uccise e rese schiavi 3.000.000 di persone.
La guerra di conquista gallica dei Romani, basata sulla politica del "dividi et impera", iniziò nel 58 a.C. quando gli Elvezi (nel numero di 360.000), spaventati dall’invasione dei Suebi dalla Germania, migrarono dalla Svizzera, distruggendo tutti i loro villaggi per non lasciarli al nemico.
A tale proposito, ricordiamo che numerosi ritrovamenti archeologici testimoniano che nel basso palatinato esisteva una linea difensiva eretta dai Celti nei confronti dei Germani. Nel caso dei Suebi, si dimostrò che questi ultimi avevano sfondato la linea difensiva. Inoltre, nel 60 a.C. Daci e Traci, popoli della Pannonia, distrussero Bratislava, capitale dei Boi e costrinsero alla migrazione la popolazione celtica locale. Questo dimostra che i Celti si sentivano continuamente minacciati dai Romani, dai Germani e dalle popolazioni dell’europa orientale. A tale proposito ricordiamo che nel 16 a.C. i Marcomanni invasero il territorio dei Boi.
Cesare prese a pretesto l’episodio dei Suebi per far sentire minacciata la Gallia Narbonese ed in particolare gli Edui con cui aveva stretto alleanza. Inseguì ed affrontò gli Elvezi nella Gallia non romana a Bibratte e Lugdunum, sconfiggendoli e ricacciandoli indietro, uccidendone circa 250.000.
E’ opportuno precisare che il senato romano non era favorevole a questa guerra, perché si trattava di questioni tra "selvaggi", ma Cesare era interessato perché aveva bisogno di denaro: la sua corsa alla dittatura rischiava di farlo indebitare con Crasso. Cesare aveva anche fatto una politica denigratoria dei Germani nei confronti dei Galli, sottolineando le differenze tra i due popoli (in realtà erano minori), finchè sempre nel 58 a.C. a Mulhausen sconfisse i Suebi di Ariovisto, lasciando truppe romane in territorio germanico. Per tutto ciò Cesare ottenne a Roma un giorno di fasti.
Nel 57 a.C., con una politica di propaganda, Cesare sconfigge una ad una tutte le tribù dei Belgi che era riuscito a dividere (Suessoni, Bellovaci, Ambiani, Aduatuci, Nervii), facendole di nuovo apparire come un pericolo per gli Edui.
Successivamente furono occupate Normandia e Bretagna, anche se i Gesati si difesero bene. Scoppiarono varie rivolte e Cesare fu costretto a correre per tutta la Gallia. Annientò gli Aquitani, sconfisse i Veneti in Bretagna con una flotta leggera allestita per contrastare l’impeto dell’Atlantico. Sconfisse ed inseguì oltre il Reno Tenteri e Usipeti, allestendo con i suoi genieri un ponte di legno lasciato intatto a metà come monito di un eventuale ritorno. In tutte queste rappresaglie, come esempio, distruggeva villaggi e compiva stragi.
Al ritorno dalla seconda spedizione in Britannia, Cesare affronta e sconfigge prima Induziomaro capo dei Treviri, che aveva assediato un campo romano, e poi Ambiorige capo degli Eburoni, che, sotto il segno di una Gallia comune, aveva sopraffatto con l’inganno i luogotenenti Sabino e Cotta. La strategia cesariana di re contro re stava tramontando. Entrambi i capi furono uccisi nel 53 a.C. dai Romani, ma i due avevano innescato una guerra civile: erano i rappresentanti di nuove classi sociali, composte da una discreta popolazione, che volevano soppiantare le vecchie filoromane, esigue come popolazione. Si trattava di gruppi non organizzati militarmente che volevano affrontare la potente macchina bellica eretta da Cesare.
Nel 52 a.C. fu la volta di Vercingetorige, capo degli Alverni.
E’ opportuno precisare che molti nomi di re celtici, non sono reali. Essi richiamano il nome del popolo da cui provengono questi personaggi e fanno direttamente riferimento al concetto di vigore e di forza tipico della filosofia di vita celtica. Vercingetorige ne è un esempio tipico: ver: super, cinget: guerriero, rix: re.
Fu il fautore della "terra bruciata" e distrusse villaggi gallici, facendo trasferire popolazioni e beni. Questa politica si fermò ad Avaricum, città dei Biturigi che per la sua bellezza non fu distrutta, che fu assediata da Cesare, il quale, tra la fame e gli stenti dei suoi soldati frutto della politica del re alverno, in 25 giorni eresse un rampa fino alle mura di cinta della città. Vercingetorige non attaccò e si ritirò nelle vicine paludi. I Romani massacrarono la popolazione. Il capo alverno aveva dimostrato che era inutile affrontare i romani direttamente e difendere le città da assedi. In questo modo ebbe credito presso i popoli gallici.
Successivamente fu la volta di Gergovia, capitale degli Alverni, dove i Romani subirono la prima sconfitta. Si trattava di una città circondata da montagne, ben fortificata, dove Cesare attuò un’azione da commando che andò a vuoto, per l’intervento delle milizie di Vercingetorige : morirono 700 soldati e 46 centurioni.
Cesare meditava il ritiro dalla Gallia Narbonese, ma gli Allobrogi bloccavano i passi alpini. I Romani sconfissero i Galli che anziché usare una tattica prudente, si richiamarono al loro furore bellico, e decisero di puntare verso Alesia, città sacra dei Mandubi ove risiedeva il capo alverno. Qui Cesare fece costruire delle doppie mura di assedio alte tre metri tutte attorno, con trappole e fossati di acqua di sette metri. La cavalleria di Vercingetorige andò a chiamare aiuto, lasciando 80.000 Galli nella città, e si presentarono attorno ai Romani 240.000 fanti e 8.000 cavalieri. La popolazione alesiana non adatta alla guerra (vecchi, bambini, donne) che costituiva bocche da sfamare fu risparmiata al cannibalismo e mandata verso i Romani che li lasciarono nella terra di nessuno a morire di fame. Cominciarono gli attacchi gallici sia dall’esterno che all’interno che i Romani respinsero bene.
Alla fine, stremati dalla fame gli alesiani consegnarono Vercingetorige ai Romani che lo condussero a Roma ove, nel corso dei fasti fu ucciso nel 46 a.C.. Due anni dopo morirà anche Cesare. Piccole rivolte successive furono sedate: la Gallia era sottomessa. Il risultato di tutto ciò fu la comparsa della città di Hradiste in Boemia, abitata dagli ex abitanti Gergovia, Alesia, Bibratte e la migrazione di popoli celtici verso quelli germanici. Inoltre i Romani proibirono il culto della religione celtica. La cosa fu nuova perché generalmente ai vinti era lasciata la professione della propria religione. Anche questo faceva parte di una strategia tendente a distruggere la cultura celtica che si era opposta strenuamente a quella romana (come fu per l’etrusca, la sannita, la cartaginese). Tuttavia Caracalla, Diocleziano e Massimino si inginocchiarono davanti a divinità celtiche e lo stesso Costantino ebbe la sua famosa visione in un tempio celtico.
Augusto, il successore di Cesare, consolidò l’opera di conquista della Gallia. Per diverso tempo abitò ad Aquileia, per seguire la situazione più da vicino. Stabilì a Lione il centro delle operazioni, da cui partirono le diverse spedizioni militari, affidate prima al suo genero Vipsiano Agrippa, poi ai suoi figliastri Tiberio e Druso. Questi ultimi, tra il 15 ed il 14 a.C., si spingono verso l’Illiria, oltre il Danubio, distruggendo Manching, e fondano tra il Danubio ed il versante meridionale delle Alpi le province romane della Rezia e del Norico. In questo modo si impiantò e si sfruttò una rete di commercio con l’Europa centrale, nonché i suoi metalli.
Successivamente l’attività bellica si concentrò soprattutto contro i Germani, ma, dopo alcuni successi di Tiberio (5 d.C.), le truppe romane, coordinate da Germanico, figlio di Druso, non riuscirono ad avanzare in un terreno così impervio ed in un clima ostile. Nel 9 d.C. 20.000 soldati, al comando di L.Q. Varo, furono uccisi nella battaglia di Teutoburgo. Fu l’epilogo della conquista germanica, nonostante le operazioni di Germanico, che, nel 15 d.C., durante il regno di Tiberio, navigò lungo il Reno dal Mar del Nord. I Romani decisero di non avanzare più e si attestarono lungo il Reno, su una linea difensiva che alcuni secoli dopo sarà distrutta dalle invasioni barbariche. L’attività espansionistica, guidata sempre da Germanico, si spostò in Illiria e Pannonia.

Britannia
Nel 55 a.C. Cesare esplorò la Britannia per pochi giorni, attraversando la Manica in modo avventuroso. Entrò in contatto con le popolazioni locali e studiò il territorio, trovandolo ricco di stagno e di altri minerali. La cosa a Roma ebbe grande successo, al punto che, per festeggiare anche le vittorie galliche, gli furono attribuiti venti giorni di fasti. Nel 54 a.C. Cesare ritorna in Britannia in modo più stabile e sconfigge Cassivellauno che gli si era opposto, fondando un protettorato in tutta fretta, dovendo tornare subito in Gallia, per sedare le rivolte.
La Britannia appare subito più arretrata della Gallia: non esistono città, ma solo villaggi di capanne; è presente solo qualche oppida e la struttura sociale si basa sulla divisione tra aristocratici e popolani.
Fino al 40 d.C. i Romani non avvisteranno più le coste britanniche. Dopo la conquista di Cesare, i Britanni sviluppano un’intensa attività piratesca, al punto che Caligola teme uno sbarco sulle coste inglesi. Successivamente dal 43 al 47 d.C., il governatore Aulo Plauzio, per incarico dell’imperatore Claudio, occupa la parte meridionale dell’Inghilterra (Kent, valle del Tamigi e Colchester, capitale dei Trinovanti). Lo stesso Claudio venne a ricevere un giuramento di fedeltà dei re locali.
Successivamente, dal 47 al 52 d.C., fu la volta del governatore Ostorio Scapula che conquistò l’ovest, spingendosi nel Galles, e con l’aiuto della regina Cartimandua, sottomise i Briganti. La regina, invaghitasi del giovane Vellocato, si unì ai Romani per eliminare suo marito Venuzio. Questo episodio dimostra il valore delle donne presso le popolazioni celtiche: pronte a tutto per ottenere un risultato e di forte carisma, al punto da muovere tutta una popolazione.
I Briganti, alla fine, si rifiutarono di seguire la regina, si unirono a Venunzio e lottarono contro i Romani.
Nel 59 d.C. Claudio venne avvelenato e fu la volta di Nerone che concluse nel modo più amaro la dinastia julio-claudia. Nuovo governatore della Britannia, sede di continue rivolte, era Svetonio Paolino che (secondo Livio, per cui da verificare) nel 61 d.C. conquista l’isola sacra dei Druidi di Mona, l’odierna Anglesey, perdendo 70.000 uomini, e reprime nel sangue la rivolta degli Iceni guidati dalla regina Boudicca.
Di nuovo compare una donna nella storia inglese: stavolta esprime coraggio e risentimento popolare. La ferocia della repressione fece così effetto al senato romano che fu destituito il governatore e furono nominati al suo posto prima Petronio Turpiliano e poi Trebellio Massimo (62 – 69 d.C.), che con estremo successo "romanizzano" la Britannia, affievolendo il vigore dei Celti: Londinum (Londra) è sede di un grande foro, vengono costruite città e strade, i costumi romani vengono ripresi dalle diverse tribù locali.
Con l’avvento della dinastia dei Flavi a Roma, Vespasiano, riprende la conquista romana in Britannia. Tra il 71 e il 78 d.C. Petilio Ceriale e Frontino sottomettono Briganti e Siluri e conquistano definitivamente il Galles, luogo di estrema resistenza, e parte del nord dell’Inghilterra, fondando la città di Eburacum (odierna York).
Tra il 60 ed l’84 d.C. Giulio Agricola, marsigliese di nascita e dunque conoscitore dei Celti, ricevette diversi incarichi in Britannia, dapprima come funzionario, poi come legato ed infine come governatore (con una breve parentesi di governatorato in Aquitania). Vide passare davanti a se vari imperatori, mostrandosi sempre dalla parte del più forte al momento giusto: da Nerone a Galba, da Vespasiano a Domiziano che lo estromise. Era suocero di Tacito ed ebbe una forte propaganda.
Riconquista l’isola Mona, che in precedenza Livio aveva data per romana; guida sette spedizioni verso il nord, erigendo forti su tutta la linea del Forth-Clyde. La Caledonia era nel frattempo divenuta luogo di accoglienza per chi era antiromano ed era stato costretto alla fuga. Nelle battaglie impiegò molti Celti locali: combattevano britanni contro altri britanni (questo fu un risultato della romanizzazione attivata in precedenza). Presso il Monte Garupio, vicino Aberdeen, sconfisse Calgaco, re dei Pitti, compì una spedizione esplorativa sulle isole Orcadi, ma dovette fermare la sua avanzata, perché richiamato da Domiziano. Questi riteneva la Caledonia una terra aspra e desolata, che non offriva ricchezze, per cui troppo costosa da mantenere. Il successo di Giulio Agricola finisce con le spedizioni in Caledonia.
Nel 120 d.C. Adriano, adotta una politica attendista e fa erigere il famoso Vallo Adriano, lungo circa 100 km, composto da fortini e protetto da guarnigioni. L’imperatore lo etichettò con il termine "necessitas". Ora la Britannia si divideva in due provincie: Britannia Superiore, con capitale Cester nel Galles e Britannia Inferiore, con capitale Londra.
Intorno al 145 d.C., con l’ascesa al potere di Antonino Pio, i Romani avanzarono in Britannia, erigendo sopra Edimburgo, sulla linea Forth-Clyde, il Vallo Antonino.
Nel 208 d.C., con l’avvento della dinastia dei Severi a Roma, Settimio Severo in persona si recò a York, dove perse la vita, per sedare una rivolta britannica. La linea di confine arretrò di nuovo al Vallo Adriano. Dopo il 211 d.C. Caracalla tolse le guarnigioni romane dal Vallo e vi pose quelle locali: cominciò l’abbandono della Britannia. Fino al 360 d.C. ci furono diverse rivolte delle tribù locali e Carausio si proclama re di Britannia, fino a quando il cesare Costanzo Cloro riconquista l’isola per il suo augusto Massimino, collega di Diocleziano. Nel 367 d.C. Pitti, Scotti, Sassoni e Angli (due tribù germaniche) invasero la Britannia e alcuni Britanni si stanziarono in Cornovaglia e Galles, altri migrarono in Bretagna. Magno Massimo respinge l’attacco e si proclama imperatore, finendo ucciso ad Aquileia.
Nel 410 d.C. l’imperatore Onorio, prima della sua sconfitta e capitolazione ad opera dei Goti, comunica alla Britannia che non è più romana. Infine Costantino scelse la religione cristiana e la croce cristiana (XP- Christos Rho – in greco) prese il sopravvento su quella celtica.

CELTI IN ITALIA
In Italia settentrionale furono scoperti degli insediamenti che furono definiti celtici-gallo-liguri, in zona dei laghi prealpini, in una regione che secondo alcuni testi inglesi fu chiamata Lepontia= Li-pu-n-z = lepuntia (Alpi Lepontine).
Secondo l’interpretazione di alcune iscrizioni rupestri, datati intorno al V secolo a.C., queste iscrizioni furono incise dai Leponzi, popolo alpino di origine ligure e furono individuati scritte con l'alfabeto lepontico o di Lugano. (Lejeune 1971- Prosdocimi 1991). L’ area prealpina era già conosciuta nel Neolitico. Conosciuta dall’’abate Giani come: la cultura di Golasecca, che si pone fra il VII e il V secolo a.C.. Dai reperti scoperti ad Est del fiume Ticino, emissario del Lago Maggiore. Ma perché chiamarla Golasecca? Una analogia forse con la scoperta archeologica avvenuta pressoché nel periodo con i reperti venuti alla luce presso la Marne in Francia in località nominata "Gorge de Meillet" (gorge in francese significa gola) sito archeologico scoperto nel 1876, dove furono scoperte molte tombe di guerrieri e alcuni carri, proprio come a Sesto Calende sul Ticino. Probabilmente vi fu una analogia fra le due scoperte archeologiche, deducendo che il toponimo golasecca non viene riportato in nessuna mappa locale (Giani) . Lo studio di questa antica cultura di potrebbe datare con quella di La Tène, civiltà che gli studiosi concordano su una perspicace interpretazione del contesto proto-celtico alpino. Non furono trovati interruzioni fra la prima presenza celtica a Sud delle Alpi e l'altra presenza extraterritoriali dello stesso gruppo etnico europeo a Nord delle Alpi .

In questo contesto si può facilmente dimostrare che la cultura golasecchiana abbia avuto in comune le stesse radici che risalgono alle culture dei Campi dell'Urne trentadue Secoli prima presso Canegrate vicino Milano. Tale rapporto di culto di questi primi abitatori della pianura padana risalirebbero secondo il (Pauli 1971:48ff.), analogie a quelle aldilà della Alpi e nella zona del Basso Reno. Alcunio secoli prima, avvenne la grande emigrazione di vari popoli nordici verso l’ Italia Settentrionale.
Celti (tribù germaniche provenienti dal parte nord orientale del Reno e tribù galliche, provenienti dalla parte centrale ad occidente del Reno) invasero tutta la pianura padana, fino al mare Adriatico a sud di Ancona a più riprese scontrandosi con gli Etruschi. Si ebbe un forte calata di tribù come i Taurini, mentre i Salii e i Cimbri della valle del Rodano varcarono le Alpi e giunsero fino a Marsiglia (Massalia), imposero i loro dei; come Thus o Timagines paragonato dai Greci al loro Poseidone, da qui forse nacque la leggenda che Marsiglia venne fondata dai Greci. Altri ancora attribuiscono la fondazione di Massalia ai Fenici, ed altri affermano che Marsiglia derivi dal toponimo celtico Massaliote o chora (Polybius).

In Lombardia a Ovest e a Sud del fiume Adige furono i Cernomanni, i Boii a stabilirsi e fondarono Brescia e Bologna; i Lingones abitavano la foce del fiume Po, i Senoni dove fondarono Sena Gallia (Senigallia) i Senoni (dalla Gallia) occuparono tutte le Marche. Gli Insubri pare che erano i più potenti e numerosi. Annibale nelle due guerre puniche, li ebbe al suo fianco come alleati compresi i Canini e i Leponzi. Gli Insubri con gli Aedui, lasciarono la loro grande patria, per la nuova che fu chiamata Insubrian. All'epoca di Tarquinio Prisco che attribuisce agli Insubri la fondazione di Milano. Mentre secondo alcuni storici, quali Livio e Dionisio Siculo, menzionano un condottiero o druido Thereuponos un’alleato di Annibale nella seconda guerra punica ebbe il predominio nella Terra degli Insubri, chiamata anche Terra di Mezzo in contrasto con Bellovesus capo dei Cernomanni sulla fondazione di Mediolanum. Secondo una fonte greca (Grilli 1980) questo capo dalla pronuncia che oggi risulterebbe ironica avrebbe fondato la Milano celtica? Potrebbe essere attribuita alla versione del re romano, essendoci arcana l'esatta fonetica del nome e il suo significato, infatti terra di mezzo secondo la lingua germanica del Basso Reno sarebbe; mittel + land, esattamente terra di mezzo. Potrebbe essere stato anche Bellovesus, di cui si dice (sempre secondo la versione greca fondatore delle città)? Per quanto ci risulta i Celti fondarono diversi centri fortificati, non città vere e proprie come i greci e i romani, ma fortificazioni dal sufisso conosciuto in tutta l’Europa pre-romana come Dann. Solo in Inghilterra furono chiamati con il nome Hill Fort (forti sulle colline) e villaggi agricoli protetti da fossati. Centri sociali eretti e protetti da mura muro-gallico (Bibracte) chiamati dai Romani oppida (Up+vila in questo senso la V va interpretata come una P. Ville=agglomerato abitativo, ossia villa posto in alto). Si conoscono molti esempi di Oppida in tutta l’Europa, le quali potevano essere eretti con semplici palizzate fino a veri baluardi in pietra e valli a tre quattro ordini di ostacoli. Le muraglie in pietra. Wall o Bourgh erano grandi baluardi quadrati chiamati in germanico antico Viereckschranze, (mitologia germanica il recinto degli dei).

Le successive ondate celtiche attraverso i passi alpini verso l’ Italia, arrivarono altra gente, dal Nord Est europeo dal Nord della Germania dalla regione danese scesero i Vinili o Longobardi; sarebbe inesatto affermare che i Longobardi vennero in Italia solamente con le invasione barbariche, nei secoli successivi. L’invasione dei Celti ebbe un arresto fino a quando Giulio Cesare varcò il Rubicone e pose fine alla penetrazione celtica in Italia. Alcuni testi riportano che il confine con il regno dei “barbari” era il Rubicone, anche se erano le popolazione della Gallia Cisalpina, cittadini gallo-romani, l’idea che i latini del centro e sud della penisola considerava la regione prealpina una provincia germanica. Prima dell'ascesa della potenza di Roma, sempre secondo Polybius le popolazioni celtiche delle Alpi dominavano tutta la catena alpina e la pianura padana.
La strategia bellica dei Celti.
Il confronto militare fra Celti e Romani continuò fino all'epoca di Augusto. Essi non combattevano in terreno aperto o a difesa delle fortificazioni, ma praticavano la guerriglia e l'imboscata, favorevole alla guerra di montagna dall’impenetrabile foreste che coprivano tutto l'arco alpino. Ad Est in Slovenia e nei Balcani la forte cavalleria celtica, già conosciuta come mercenari affidabili. Il cavaliere celta disponeva di un corredo efficace e pratico: l'elmo di bronzo dalla forma come quella odierna dei giocatori di polo, con paraorecchi che gli scendevano fino al collo. Una lancia dalla punta palmata, la lunga spada e lo scudo romboidale o tondo, dei leggeri pettorali . I fanti preferivano combattere a petto nudo portavano un mantello sulle spalle, un paio di lance, due spade, una lunga quasi un metro con l’impugnatura personalizzata, la lancia a volte era seghettata per ottenere ferite mortali al nemico, uno scudo di cuoio, portavano braghe molto colorate e sandali con suole morbide come i mocassini adatti alla corsa.

Pure essendo inferiormente equipaggiati dai Romani, essi si potevano muovere velocemente su per i pendii e dentro nelle foreste. Tre secoli prima di Cristo i Celti cisalpini avevano inventato le moderne forze mobile di pronto intervento, ma non bastarono per fermare i Romani che ad ogni battaglia imparavano e perfezionavano le tattiche belliche dei Celti. In seguito i Romani dovettero anche subire la strategia dell'attacco combinato fra la cavalleria (in gaelico capall=cavallo) e la fanteria nella battaglia del Ticino furono sconfitti.

La civiltà celtica ormai assimilata nel contesto italico, sia nei rituali funebri delle cremazione simile a quella etrusca, si trovarerono tumuli, urne incerenitorie distinte fra maschi e femmine. Appare il grifone nei loro ornamenti, animale che non ha affinità con il culto degli uccelli del Nord Europa, o del drago scandinavo, un riflesso d'influenza mediterranea etrusca adattata dal vicino. Anche il lusso e il buon gusto italico cambiarono i disegni dei gioielli dei Celti ; partendo dalla fibula di Certosa ad altri oggetti manifattutti in oro e bronzo s’incominciavano a distinguersi degli originali di La Tène, negli scavi si trovavano un misto di vasellame etrusco-celtico. Si adattarono alla vita urbana i Cernomanni che si stabilirono nei sobborghi di Brescia, Cernomanian Brixia. La via del mare con il porto di Spina; celti, etruschi e i greci commerciavano di tutto, dal vasellame di La Tène, alle armi, come le spade di prestigio, personalizzate con ornamenti come due draghi rampanti stilizzati posti nel fodero o incisi sulla lama che si costruiva con varie tecniche di passaggi dal caldo al freddo provenienti dalla Svizzera rifinite presso Como dagli Insubri, barattate con stoffe e sete. Anche negli sport i celti avrebbero apprezzato i ludi chiamati stringilis presso Felsina o furono essi i primi allenamenti atletici per mantenersi in forma per le battaglia, un'occupazione prediletta dalla casta dei nobili guerrieri. I romani trovarono una vera società fortemente urbanizzata e raffinata.
Parte Seconda
Fu Tacitus Germanus verso il 47 d.C. disegnò una mappa degli insediamenti romani a nord delle Fiandre, oggi conosciuta come Olanda Meridionale. La Tabula Peuntingeriana riporta dettagliatamente ogni pretorio, avamposto, cippo, strade numerate, una Mediolanum Aeutecorum, Flumis Patabus Aecque Segente. Vari nomi di popoli locali:, discendenti diretti dalla casta guerriera normanna celtica. Le popolazioni galliche della Provincia Belgicae erano instabili e rissose tranne un gruppo alla foce dei tre grandi fiumi dei Paesi Bassi. Erano i Canninifati, i Veneti, i Batavi e i Parisi. L'ambiente in cui si trovarono le legioni romane risalendo il Reno sino alla foce (il vecchio Reno) è cosi chiamato il ramo a N della città dell' Aia era ricco di selvaggina, acque dolci, laghi, boschi e decisamente piatto Nei recenti scavi di Lugduno (Loosduinen) vi furono trovati molti reperti: quali pietre miliari, resti di ville, vasellame sandali chiodati dei legionari, lo scheletro di un pony, un' urna incerenitoria, frammenti romani misti a frammenti celtici perfino del cibo: resti della culinaria romana attinta nei gusti e dalle materie della popolazione celtica, la quale si nutriva di caccia e pesca, frutti di bosco ed allevamento. Si coltivavano le cozze e si pescava merluzzo, già duemila anni fa. Pretorium Agrippina (Voorburg) burg=fortificazione analoga a Colonia Agrippina (Köln Colonia, che si trovava più a Sud) .Mentre più a nord i Romani non si spinsero: la Tabula scrive il toponimo FRANCIA, rifewrendosi alla Frigia, la terra dei Frisoni, conosciuti per i loro bellissimi cavalli da manto tutto nero, (nigra mantum) erano animali da parata per i pretoriani e i centurioni, una della ragioni che giustificherebbe la presenza di una forte colonia romana nel Olanda meridionale.

Nella chiesa di Morken presso Colonia i resti di una tomba gallica fu riportato alla luce un guerriero, del clan dei Canenafates con elmo, mantello di lana grigio, cintura con coltello, ascia e lancia, sandali o gioche= ciocie lavorati con il vello dell'agnello. I Celti avevano colonizzato la parte settentrionale della Francia molti secoli prima, quando tutto il Nord Europa era in fermento per la minaccia degli Alemanni popolo di indole non proprio sedentaria, queste popolazioni si dedicavano alla pesca e alla pastorizia. Probabilmente le cose andarono così anche per questi popoli di statura piccola, bionda dagli occhi azzurri. I Veneti (la F germanica si scrive come la V italiana). Cannini o Canninifati, Parisi decisero come molte popolazioni celtiche del Nord Europa di emigrare verso il Sud del continente. La storia del Friuli riporta la presenza di popoli celtici come i Carninni popoli stabiliti nella odierna Carnia nel V Sec. a.C. I Veneti invece restarono ad Ovest di Livenza formando un nucleo misto fra i Carninni; altri Canninifati o Cannini stabiliti in Italia precedentemente provenienti da altre direttive. Si penserebbe che l'ambiente acquitrinoso della costa veneta sia stato famigliare alla vecchia patria nordica analoghi ai vasti estuari del Basso e Vecchio Reno Rhonos.

Queste popolazioni galliche del Nord europeo all'epoca delle repubbliche romane decisero di guastare le feste alla civiltà latina o spinti della carenza alimentare. Interminabili colonne di guerrieri dai rossi capelli, con tutto ciò che possedevano la fierezza delle loro donne, bambini, carri e buoi scorrazzavano per l'Europa, formando specialmente nella Gallia Cisalpina una permanente minaccia all'espansione romana. La supremazia celtica, la casta guerriera, l'omogeneità etnica di coloro che lasciarono alle spalle; gli anziani e gente sedentaria che all'avventura avrebbero preferito rimanere nelle loro terre senza luce facendo una vita ascetica ed spirituale. Spiegherebbe il costume da duemila anni ad oggi; avviene ad ogni primavera la calata a Sud, dei popoli nordeuropei.
Eredi di uno spirito avventuristico accompagnato al carattere indomito dei nordici o una parte di loro, come gli Alemanni in perenne movimento.

Ma non erano tutti guerrieri, mercenari o avventurieri. Molti di questi soldati celtici portavano Elmi corinzi con tanto di pennacchio Usavano piccoli carri tirati da una pariglia di cavalli si proteggevano con una corazza di cuoio (anche qui i Romani non fanno scuola) mentre sono nudi dalla cintola in giù, esempio di arte e raffinatezza allo stesso tempo si trova in museo in Francia. Si narra che nelle foreste dove oggi sorge Bruxelles i druidi suonassero una grande campana quando praticavo le magie dei loro dei. Carlo Magno nativo da quelle parti ebbe difficoltà nel sradicare il culto ancestrale dei druidi, incalzato dagli anatemi di una Chiesa lontana le minaccie infernali a chi praticava il paganesimo, Uomo di alta cultura ma di statura bassa, probabilmente fece gli studi di druido da bambino, alfine il re franco cedendo alla Chiesa dovette cedere al Papa se voleva tenere l'Impero rifiutando il culto dei suoi antenati. . Vi furono varie ipotesi che possono dare una spiegazione agli spostamenti ed alle analogie linguistiche, usi e costumi vita sociale che praticavano all'inizio della nostra Era. Celti e Romani, presi nell'eterno vortice di lotte ed imposizioni dalla civiltà latina; "o ti inserisci o fuggì il più lontano possibile", come avvenne per i Bretoni e i Celtiberi emigrando nelle isole britanniche, per secoli le popolazioni celtiche vivevano in un clima di precarietà di instabilità resistettero il più possibile al potere romano.

In continuo fermento in Francia e in Germania sorsero grandi vie commerciali, canali navigabili presidi e forti, ville agricole e bastioni dal Mediterraneo al Mare del Nord Fu l'inizio della fusione delle due grandi civiltà, dando sviluppo alla cultura gallo-romana. Il dubbio rimane: erano i Veneti popolazione proto-celtiche auctonone, oppure avvenne davvero questa trasmigrazione dal Nord dell' Europa nel Italia settentrionale? Furono reclutati nelle legioni romane, per gli insediamenti romane ai confini orientali dell'impero. Riflettendo su questa quadro complementare dell' epopea dei nostri progenitori.

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